La prova di poter riuscire a suonare le fantasie di telemann, originariamente scritte per flauto solo, con l'oboe, ci rimanda alla concezione di sviluppare un suono dell'oboe fluido, nell'estensione, nel vibrato e nella capacità di fraseggiare, all'interno di una struttura melodica, con dinamismo e con una buona articolazione. Questa concezione di suono oboistico, ovviamente, non l'ho scoperta io, ma si ispira a quel genio dell'oboe che noi tutti conosciamo con il nome di H. Holliger. Durante i miei anni di studio, ho maturato una concezione di suono oboistico ben precisa e sono arrivato alla conclusione che analizzare, scomporre, interpretare, capire il suono, lo stile esecutivo del grande H. Holliger, significa in sostanza fissare avanti a me l'obiettivo supremo al quale tendere con il mio studio. Imitare quel suono, significa poi facilitare, portare ai minimi termini quello che con l'oboe si può fare e realizzare in orchestra e in altri contesti esecutivi. Mi meraviglio, comunque come questo mio pensiero non viene spesso condiviso nelle cosiddette nostre scuole di pensiero oboistico italiano, laddove si continua a pensare di Holliger, come di un solista dal suono chiaro, che si amalgama poco con gli altri legni in orchestra e che quindi diventa quasi una colpa che lui riesca a realizzare con il suo strumento un suono penetrante, cristallino, centrato e fluido. Nelle orchestre italiane, l'oboe non si sente più. Continua a giocare a nascondino con il flauto e il clarinetto, e i grandi maestri oboisti italiani, hanno ormai da tempo abbandonato il suono dell'oboe per dedicarsi all'imitazione (con l'oboe) del sassofono. Questa è, dal mio punto di vista, la cruda e nuda verità italiana. Siete d'accordo con me?
Se vuoi puoi ascoltare la versione della fantasia n 3 di Telemann eseguita da me con l'oboe al seguente link: fantasia n 3 di G P Telemann
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